Badaben da sempre si dedica alla cura delle persone anziane non autosufficienti credendo fermamente nel valore dell’assistenza “a casa propria”, luogo degli affetti e dei ricordi, e nella necessità di “preparare” (formare) le persone: anziani assistiti o caregivers, per garantire loro la miglior qualità di vita possibile ed immaginabile.

Negli ultimi tempi, stiamo però assistendo ad una sorta di “degenerazione” del significato assegnato a quelli che riteniamo “i fondamentali” del moderno concetto di cura della persona non autosufficiente, nella sua complessità.

ADI e SAD: Sono la parafrasi del termine “domiciliarità”: servizi indispensabili per esigenze transitorie ma che devono essere fortemente riformati perché, se da un lato possono supplire alle esigenze di persone in momentanea difficoltà, quando incontrano i problemi dell’età e della non autosufficienza, richiamo di diventare economicamente gravosi.

La badante: Più volte abbiamo sottolineato come in italia si sia abbondantemente superato il traguardo del  milione di assistenti familiari: più o meno regolari, più o meno in grado di assistere un anziano, più o meno disposte a rinunciare ad un po’ della loro vita per… mille euro al mese.
E pur non volendo rinnegare il nostro stesso nome e l’attività che svolgiamo ogni giorno, vogliamo ribadire che l’assistenza 1:1 non è la soluzione: troppo onerosa per la famiglia e lesiva dei diritti fondamentali del caregiver, per poter diventare  il modello di riferimento per il futuro.

Oggi inoltre vi è un deficit di formazione “grave e colpevole” che chiede di essere colmato al più presto: non si può lasciare la vita dei nostri cari più fragili, nelle mani di gente che non ha alcuna preparazione e che spesso è mossa esclusivamente da necessità di tipo economico.

L’housing sociale, il co-housing ecc. Come al solito siamo sempre pronti ad adottare termini “esotici” per rispolverare concetti vecchi e stantii. Alloggi “ERP”, “ALER”, ATER o AREA, insomma, le CASE POPOLARI. che troppo spesso non risolvono problemi ma ne creano.

Operazioni immobiliari di discutibile qualità, a volte prive di regole (virtuose) e sempre prive di qualcuno che quelle regole le faccia rispettare. Beni della collettività che deperiscono “alla velocità della luce” trasformandosi in ghetti o, peggio, in loculi dotati di TV satellitare…

L’housing sociale non può e non deve essere la riproposizione di un modello “vecchio” senza analizzarne e superarne i limiti. Nemmeno una “vuota” risposta ad esigenze sempre più complesse (si pensi, ad esempio alla questione del “dopo di noi”). Quindi se il minimo comun denominatore dei destinatari del “co-housing” è la necessità di (un diverso grado di) assistenza e di servizi per contrastarne “la morte sociale”, allora quello dev’essere l’elemento “innovativo” della moderna edilizia residenziale.

E’ inoltre indispensabile affrancarsi dagli stereotipi del “condominio anni ’70” orientandosi sempre di più verso nuove esperienze di abitare, più confortevoli, sostenibili, ergonomiche.

Il concetto di domiciliarità, quindi, non può essere funzionale al mero contenimento della spesa sociale, scaricandone gran parte degli oneri sulle famiglie, con servizi talvolta inutili (o, peggio, deleteri), spesso scoordinati  e “tanto per far vedere che qualcosa si è fatto”…

Domiciliarità deve essere un concetto diverso, che deve essere chiarito e spiegato a tutti i cittadini, affinché i servizi di cura si adattino alle esigenze che scaturiscono dal nostro invecchiare in modo diverso e, speriamo, sempre più consapevole.