Nei giorni scorsi è stata pubblicata una sentenza relativa all’opposizione di una cooperativa di Milano contro l’INPS, reo di aver contestato la natura di rapporto subordinato al rapporto autonomo di 17 badanti alle quali la cooperativa “ha aperto partita IVA” prima di farle lavorare come badanti “libere professioniste” in alcune famiglie di Milano.

La sentenza è tanto corretta quanto paradossale: leggendola attentamente la trovo formalmente ineccepibile. Essa non rileva alcun rapporto di subordinazione tra la badante e la cooperativa che si limita a fungere da intermediario (peraltro autorizzato).

Ciò che la sentenza non rileva è l’estrema gravità del comportamento della cooperativa nei confronti di tutti i soggetti coinvolti.

  1. Le badanti: persone che lavorano esclusivamente per un datore di lavoro (la famiglia), in convivenza, 24 ore su 24 per 6 giorni la settimana e percepiscono meno di 1000 euro onnicomprensivi senza avere alcun riconoscimento circa le ferie e la malattia, senza avere una tutela alla fine del rapporto di lavoro, spesso senza conoscere tutte le incombenze relative al lavoro autonomo.
  2. Le Famiglie: che si trovano in casa persone che, in ogni momento, possono far loro causa per vedere riconosciuto il loro rapporto di lavoro subordinato (questo sì, senz’ombra di dubbio) con la famiglia stessa.
  3. Il “sistema Italia”: che vede “vilipesa e sbeffeggiata una contrattazione collettiva di lavoro”; che non vedrà pagati in maniera corretta i contributi e, spesso, nemmeno le tasse; che dovrà inoltre farsi carico di queste lavoratrici nel momento del bisogno.

Ancora una volta il nostro paese si sta dimostrando la patria dei “furbetti” che troppo spesso trovano una valida sponda nel sistema giudiziario, troppo complesso e farraginoso, che consente a qualche azzeccagarbugli di inventarsi sempre nuovi modi per pescare nel torbido.

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